Alle teorie classiche della secolarizzazione per esprimersi in termini molto schematici, che non rendono del tutto ragione di un dibattito sociologico assai complesso si contrappongono le teorie delleconomia religiosa, secondo le quali, mentre la secolarizzazione qualitativa (meglio identificata come desacralizzazione) è in effetti un portato della modernità, la secolarizzazione quantitativa è una costruzione ideologica non confermata dai dati empirici. Secondo queste teorie, sul mercato dei beni religiosi che funziona in un modo non molto diverso da qualunque altro mercato di beni o di servizi la domanda tende a rimanere costante anche nel lungo periodo. Le teorie delleconomia religiosa si pongono supply-side, dal lato dellofferta, e postulano che, ceteris paribus, la percentuale di persone religiose in una determinata società dipenda dalla qualità e dalla varietà dellofferta. Allesatto opposto di quanto pensano le teorie classiche della secolarizzazione, il modello delleconomia religiosa prevede che una vigorosa concorrenza fra proposte religiose si risolva, secondo una legge nota agli economisti, nel fenomeno dellofferta che crea la sua domanda, dunque in una maggiore presenza di persone religiose. Naturalmente, la conclusione vale in una situazione di libero mercato: se lo Stato interviene a ostacolare la concorrenza e a creare monopoli ovvero oligopoli, lofferta si impiglia nei lacci delle leggi e dei regolamenti e non riesce a creare domanda.
Per molti anni il dibattito ha avuto una forte connotazione geografica, non solo nel senso che le teorie classiche della secolarizzazione erano più diffuse in Europa, e le teorie delleconomia religiosa negli Stati Uniti, ma anche perché si riteneva spesso che il modello della secolarizzazione quantitativa descrivesse adeguatamente la situazione dellEuropa Occidentale, e il modello delleconomia religiosa quella degli Stati Uniti. In effetti, se si escludono pochi sostenitori dogmatici di una teoria della secolarizzazione quantitativa senza se e senza ma, già allinizio degli anni 1990 i sociologi americani avevano convinto la maggioranza dei loro colleghi europei che, in ogni caso, negli Stati Uniti la modernizzazione, la scienza, la prosperità e il pluralismo religioso coesistevano con percentuali di persone che si dichiaravano religiose triple rispetto alla media europea. I teorici della secolarizzazione europei parlavano allora di American exceptionalism, eccezione americana, ritenendo che le teorie classiche della secolarizzazione si applicassero dovunque tranne che (per ragioni che occorreva spiegare) negli Stati Uniti. Negli anni 1990, tuttavia, una serie di lavori notavano un andamento delle statistiche religiose in Africa, Asia e America Latina molto più simile agli Stati Uniti che non allEuropa Occidentale (a cui sembravano avvicinarsi invece il Canada, lAustralia e la Nuova Zelanda), mentre il dibattito ferveva sulla direzione in cui si stava muovendo lEuropa Orientale post-comunista.
La storia di questo dibattito allinterno della sociologia della religione europea è ripercorsa da Grace Davie in Europe: The Exceptional Case[3], unopera che raccoglie le sue Sarum Theological Lectures (Conferenze teologiche Sarum) tenute nella cattedrale di Salisbury, in Inghilterra, nel corso dei mesi di aprile e maggio 2001. Il taglio, dunque, è proprio di chi si rivolge a un pubblico non necessariamente specializzato, il che rende lopera di facile lettura. Anche a un pubblico che non ha familiarità con il dibattito interno alla sociologia della religione, Grace Davie presenta il passaggio dalla tesi delleccezione americana (da lei stessa, in altre stagioni, condivisa) a quella delleccezione europea. In breve, secondo la sociologa inglese, il modello secondo cui la modernizzazione e il pluralismo religioso possono coesistere con una vigorosa e crescente presenza della religione si è dimostrato valido non solo negli Stati Uniti, ma a mano a mano che su queste altre macroregioni si sono avute a disposizioni ricerche affidabili in Africa, in Asia (lautrice presenta i casi emblematici della Corea del Sud e delle Filippine), nelle piccole isole dellOceania, in America Latina. Solo il Canada e lAustralia appaiono piuttosto come repliche dellEuropa. Non sono dunque gli Stati Uniti a fare eccezione a una presunta regola universale secondo cui la modernizzazione genera necessariamente secolarizzazione quantitativa; è piuttosto lEuropa (con il Canada e lAustralia) a fare eccezione alla regola secondo cui la modernizzazione e la concorrenza fra le religioni (quando non è ostacolata dallo Stato) garantiscono un perdurante, spesso perfino crescente, vigore della religione. Fin qui, poco di nuovo: se non mancano in Europa sostenitori a oltranza del valore universale delle teorie classiche della secolarizzazione (che appaiono però sempre più isolati), la maggioranza dei sociologi che avevano a suo tempo costruito il modello della secolarizzazione a partire da Peter Berger oggi parlano piuttosto di una de-secolarizzazione[4] del mondo, cui la sola Europa farebbe appunto eccezione.
Grace Davie si chiede però in che cosa, precisamente, lEuropa sia eccezionale. Entra qui in gioco la distinzione che la stessa sociologa inglese aveva contribuito, circa dieci anni fa, a formulare fra believing e belonging, fra credere e appartenere. LEuropa, afferma Grace Davie, non è eccezionale rispetto al believing, perché le percentuali di persone che affermano di credere in Dio o di essere religiose sono solo lievemente più basse rispetto ad altre aree geografiche. Nonostante tutto, secondo la terza Inchiesta europea sui valori, del 1999, il 77,4% degli europei occidentali crede nellesistenza di Dio[5]. Leccezione europea riguarda invece quella che la sociologa inglese chiama appartenenza (belonging), non senza qualche problema, perché in alcuni paesi europei si potrebbe ancora distinguere fra affiliazione a Chiese cristiane, che comporta il pagamento di una quota mensile o annuale, e pratica domenicale. Grace Davie intende per appartenenza la pratica settimanale, che nella stessa indagine del 1999, si attesta nellEuropa Occidentale al 20,5%[6], la metà esatta del dato americano[7]. I dati, naturalmente, sono di complessa interpretazione: si deve tenere conto del fatto che le statistiche che Grace Davie prende in esame sono basate sulle risposte a interviste, e che è possibile che un certo numero di persone negli Stati Uniti non facciano quello che dicono[8] cioè, mentano agli intervistatori quando affermano di praticare la loro religione ; e che, per converso, in Europa alcuni siano riluttanti ad ammettere una pratica domenicale che appare minoritaria e fuori moda. Queste ipotesi già di per sé significative del diverso grado di consenso che circonda la pratica religiosa negli Stati Uniti rispetto allEuropa non mutano tuttavia il quadro di fondo.
Perché gli europei occidentali praticano la loro religione a parità, o quasi, di percentuale di credenza in Dio molto meno non solo degli statunitensi, ma anche dei latino-americani, degli africani, dei coreani, dei filippini e degli abitanti delle isole della Melanesia? La spiegazione di Grace Davie non coincide totalmente con quella dei teorici delleconomia religiosa. Per questi ultimi, il mercato religioso europeo è in misura variabile a seconda degli Stati distorto dallintervento dello Stato, che altera il gioco della concorrenza e impedisce allofferta di creare la sua domanda. Se si rimuovessero gli ostacoli posti dagli Stati, il mercato religioso dellEuropa Occidentale inizierebbe a muoversi in una direzione simile a quella del resto del mondo. Per Grace Davie, questa spiegazione è soltanto parziale. Più in profondità, operano sia ragioni storiche riassumibili nella profonda differenza fra Rivoluzione francese e Rivoluzione americana , sia lemergere nellEuropa Occidentale, attraverso un percorso complesso, di un fenomeno di religione vicaria[9], discusso da Grace Davie in unopera precedente[10]. Mentre gli statunitensi, che non hanno mai conosciuto Chiese sostenute dallo Stato piuttosto che dallimpegno individuale dei fedeli, pensano che ( ) le Chiese potrebbero cessare di esistere senza la loro partecipazione attiva, gli europei occidentali vedono piuttosto le Chiese come ( ) utili istituzioni sociali, di cui la grande maggioranza della popolazione avrà probabilmente bisogno in unoccasione o due durante la vita (non da ultimo, in occasione della morte)[11]. Per il resto della vita, per particolari ragioni storiche (in particolare, la connessione nella storia europea fra Chiesa e Stato), un numero significativo di europei si accontentano di lasciare che le Chiese e chi va in chiesa mantengano viva una memoria per loro conto (ed è questo il significato essenziale dellaggettivo vicario), consapevoli almeno a metà che avranno bisogno di attingere a questo capitale in momenti cruciali delle loro vite individuali e collettive[12]. Pertanto, è possibile che ( ) gli europei non siano molto meno religiosi delle popolazioni delle altre parti del mondo, ma siano più semplicemente religiosi in modo diverso[13].
Dal punto di vista della teoria delleconomia religiosa che personalmente ritengo, con gli opportuni adattamenti, perfettamente applicabile anche allEuropa[14] la domanda che si può porre a Grace Davie è se si tratti però di una situazione permanente e definitiva, ovvero se il venire meno delle ultime conseguenze della connessione nella storia europea fra Chiesa e Stato non possa gradualmente determinare una situazione diversa, dove la partecipazione religiosa di persone che comunque affermano di credere possa trasformarsi da vicaria in personale. Daltro canto, ci si può chiedere fino a che punto sia possibile descrivere lEuropa Occidentale come ununica entità, dal momento che i dati riportati dalla sociologa inglese, riferiti al 1999, mostrano variazioni sostanziali della pratica religiosa (ma non delle credenze): dal 2,7% della Danimarca e dal 7,6% della Francia fino al 40,5% dellItalia e al 56,9% dellIrlanda[15].
Non mancano ragioni che spiegano i dati dei paesi scandinavi, dellIrlanda e dellItalia[16]. Nel frattempo, un prezioso punto di partenza per una riflessione sul dato francese è offerto dallopera di Danièle Hervieu-Léger Catholicisme, la fin dun monde[17], presentato dallautrice come terzo volume di una trilogia sulla situazione della religione in Francia che la ha vista occuparsi anzitutto di forme e paradigmi della religiosità francese distinguendo la religiosità in movimento e disistituzionalizzata del pellegrino da quella istituzionale del convertito[18] , quindi della controversa questione delle cosiddette sette, cui il governo francese ha reagito con una politica repressiva unica in Europa[19]. Dal punto di vista metodologico, il volume delleminente sociologa francese ha in comune con quello di Grace Davie una consapevolezza della distinzione fra secolarizzazione qualitativa (chiamata qui secolarizzazione oggettiva,[20] che sembra non fare problema, in quanto la sua esistenza è data più o meno per scontata) e quantitativa (chiamata qui soggettiva[21]), e allinterno di questultima fra credenze e appartenenze istituzionali. Danièle Hervieu-Léger nota che la secolarizzazione europea non ha affatto ( ) dissolto le credenze[22], e che anche in Francia la cosiddetta fuoriuscita dalla religione[23] riguarda le appartenenze e coesiste anzi con ( ) una formidabile proliferazione del credere che esplode al di fuori dei grandi codici di senso prescritti dalle istituzioni religiose[24], determinando la pluralizzazione del mercato dei beni spirituali[25]. Lautrice concede però meno di Grace Davie alla teoria delleconomia religiosa, su cui manifesta un certo scetticismo[26]. Senza misconoscere scrive la necessità di riformulare il concetto di secolarizzazione [quantitativa] strappandolo, in particolare, a una concezione angusta ed etnocentrica [in quanto attribuisce un valore universale a quanto avviene in Europa Occidentale] della perdita di religione nelle società moderne, si è piuttosto portati ( ) a ritornare a tale concetto, per reperire una nuova fase dello stesso processo[27].
Tale nuova fase del processo di secolarizzazione in Francia corrisponde, secondo Danièle Hervieu-Léger, alla exculturation, esculturazione[28] (ma la parola è un neologismo anche in francese), intesa come scioglimento dei legami di affinità elettiva che la storia ha stabilito fra le rappresentazioni condivise dai francesi (la cultura che è loro comune) e la cultura cattolica[29]. Il tema dellesculturazione della religione cattolica in Francia è al centro dellintero volume, che prende le mosse da unanalisi del testo di S.E. Mons. Hyppolite Simon, vescovo di Clermont-Ferrand, Vers une France païenne?[30], pubblicato nel 1999 e al centro di un ampio dibattito in Francia. Sarebbe un errore, secondo Danièle Hervieu-Léger, confondere lanalisi del prelato francese con testi di molti anni fa che denunciavano il paganesimo imperante in Francia nella prospettiva di una ricristianizzazione della nazione a lungo considerata come la figlia primogenita della Chiesa. Mons. Simon, al contrario, è un rigoroso sostenitore della linea pastorale della Conferenza episcopale francese che, da molti anni, accetta il principio costituzionale della laïcité e si sforza piuttosto di mostrare come, al di là di secoli di opposizione, i valori laici della Repubblica francese e i valori cattolici sono due branche che derivano da una radice comune. Per questo, sostiene il prelato, la crisi del cattolicesimo in un paese dove ( ) in prospettiva i cattolici non rappresentano più del 15% della popolazione ( )[31], ben lungi dal costituire la vittoria finale della laïcité, è insieme la crisi della stessa laïcité. Se cade il cristianesimo, cade la cultura laica che si è paradossalmente mentre dichiarava di combatterlo modellata sul cristianesimo, e ne ha adottato ( ) le idee centrali che riguardano lunità del genere umano e la trascendenza delle persone, che fanno parte del cuore stesso della rivelazione cristiana[32]. Il nemico della Chiesa cattolica e della laïcité due piante rivali cresciute però una sullaltra, così che è impossibile sradicare la prima senza uccidere anche la seconda è comune. Si tratta secondo il prelato di un nuovo politeismo pagano[33] di sospetta importazione americana che non è ateo, ma propone e celebra un pluralismo delle religioni e degli dèi sconosciuto alla cultura francese, allinterno del quale proliferano forme religiose che non si riconoscono nella laïcité, ignorano il trinomio rivoluzionario della libertà, delluguaglianza e della fraternità, e sono quindi disponibili, con modalità che non sono né libere né fraterne, a celebrare il capitalismo senza uguaglianza che si diffonde nellepoca della globalizzazione.
A prescindere dalluso problematico di un concetto già di per sé difficile da definire come quello di paganesimo, vi è molto nellanalisi di Mons. Simon che Danièle Hervieu-Léger condivide. Tuttavia, per la sociologa francese, non si può attribuire lesculturazione del cattolicesimo francese allaggressione di forze esterne: né al nuovo paganesimo più o meno importato dallestero denunciato da Mons. Simon, né alla perdurante vitalità dellanti-cattolicesimo tradizionalmente forte in Francia rilevata dallo storico René Remond in unaltra opera al centro del dibattito francese più recente[34] . Dopo tutto, rivela la sociologa francese, lanti-cattolicesimo è stato ben più virulento in altre epoche della storia della Francia, senza che ne scaturissero le stesse drammatiche conseguenze sul piano della caduta del numero dei cattolici praticanti.
Che cosa è successo, dunque? Quella cui assistiamo, secondo Danièle Hervieu-Léger, è la terza fase della storia della secolarizzazione in Francia. Nella prima, che inizia già prima della Rivoluzione, la secolarizzazione (oggettiva, o qualitativa) è imposta dallo Stato, e la Chiesa cerca di resistere denunciando i mali e le contraddizioni della modernità. Questa resistenza è tanto più difficile in quanto in Francia emerge una ( ) figura particolare dellIlluminismo[35], che non si ritrova in nessun altro paese europeo, dove non solo listituzione religiosa è criticata ma nasce insieme un culto dello Stato che si modella più o meno consapevolmente sulla Chiesa e ne assume i caratteri. In Francia e solo in Francia si verifica con lIlluminismo e la Rivoluzione ( ) una sacralizzazione della politica e una vera e propria trasfigurazione religiosa della sovranità[36], dove lo Stato si costituisce come fondamento della morale e ( ) vero e proprio potere spirituale[37]. Dietro la lotta fra la Francia cattolica e la Francia laicista si celano quindi unorigine comune e una sorta di parentela fra il modello cattolico della Chiesa e il modello rivoluzionario dello Stato, che si è costruito a imitazione del primo.
Dopo oltre un secolo di lotta in cui non consegue particolari successi, dopo la Prima guerra mondiale (in cui Francia cattolica e Francia laicista combattono insieme nelle trincee) la Chiesa comincia a sottolineare essa stessa questa comunanza dorigine, a rinunciare a ogni tentativo di rovesciare lo Stato laico e repubblicano (rinuncia il cui simbolo è, secondo Danièle Hervieu-Léger, la condanna pontificia dellAction Française, del 1926)[38], e a iniziare un lento processo di accettazione al proprio interno dei valori della laïcité. Si tratta di un processo che non può dirsi a tuttoggi concluso e che incontra sacche di resistenza, ma che culmina idealmente nella Lettre aux catholiques de France diffusa dai vescovi nel 1996, dove si dichiara formalmente laccettazione del principio di laïcité, si rifiutano altrettanto formalmente ( ) ogni nostalgia per epoche passate in cui il principio di autorità sembrava imporsi in modo indiscutibile e ogni sogno di ( ) impossibile ritorno a quella che chiamavano cristianità, e si chiede di essere ( ) riconosciuti non solo come eredi solidali di una storia comune nazionale e religiosa, ma come cittadini che prendono parte alla vita attuale della società francese [e] ne rispettano la laïcité costitutiva[39]. Questa posizione poteva tenere in quanto e finché la cultura francese della laïcité rimaneva fedele alle sue caratteristiche originarie, formalmente anti-cattoliche ma sostanzialmente ispirate al modello cattolico e ad alcuni valori morali comuni. La terza fase della secolarizzazione, che inizia negli anni 1960 con il 1968 come data emblematica, mette in crisi la laïcité, e con essa una Chiesa che alla laïcité si era e, secondo Danièle Hervieu-Léger, era oggettivamente, a prescindere dalla volontà dei vescovi strettamente legata.
I diversi capitoli dellopera della sociologa francese mettono in luce altrettanti aspetti di questa terza fase: il declino della Francia rurale e della priorità dei bisogni alimentari, cui il radicamento e la stessa retorica della Chiesa cattolica erano strettamente legati; la crisi del modello di famiglia monogamica ed eterosessuale sostanzialmente condiviso (al di là della pure importante divergenza in materia di divorzio, che comunque la cosiddetta morale laica non vedeva di buon occhio e cercava di limitare) dalletica cattolica e da quella rivoluzionaria della laïcité; la negazione da parte di importanti settori della scienza, della filosofia e anche del diritto (con le norme in tema di anticoncezionali liberi e gratuiti, omosessualità, aborto, bioetica e di fecondazione assistita, e le proposte che riguardano leutanasia) del concetto di natura e di ordine naturale cui il magistero della Chiesa continua a rimanere legato; il declino generale di tutte le istituzioni (i partiti, i sindacati, le associazioni) che si trasformano da istituzioni di appartenenza cui si rimane legati per tutta la vita a istituzioni di servizio [40] cui si ricorre solo in momenti particolari (un tema che abbiamo già visto emergere nellopera di Grace Davie).
Mons. Simon, in sostanza, ha ragione secondo la sociologa francese quando afferma che la Chiesa di Francia e lo Stato laicista hanno scelto, nel XX secolo, di procedere uniti. Questa è stata, precisamente, la seconda fase della secolarizzazione alla francese. Ma la Chiesa cattolica oggi, nella terza fase, non può chiedere aiuto allo Stato perché si faccia carico della crisi del cattolicesimo; in effetti questa crisi è causata da una crisi dellideologia stessa dello Stato, la laïcité, che perde le sue caratteristiche originarie di ordine morale e a suo modo spirituale fondato su valori condivisi. Lo Stato, quindi, non è più in grado di portare soccorso alla Chiesa. Si potrebbe dire è un tema che Danièle Hervieu-Léger non sviluppa in questopera, ma cui ha dedicato il volume precedente della sua trilogia, consacrato alle sette che al massimo lo Stato può reprimere la concorrenza rappresentata da proposte religiose alternative; ma non sono queste proposte o la loro concorrenza la causa della crisi del cattolicesimo.
Lesculturazione si verifica perché è entrata in crisi la cultura della laïcité con cui il cattolicesimo francese viveva, dapprima obtorto collo e in seguito con piena accettazione almeno da parte della maggioranza dellepiscopato, in un rapporto di paradossale ma plurisecolare simbiosi. Lo Stato sembra consapevole del fatto che i problemi della Chiesa cattolica sono i suoi: la sociologa ricorda le proposte per lintroduzione di forme di insegnamento della religione nelle scuole, mentre risalgono a dopo la stesura del suo libro recenti iniziative del presidente Jacques Chirac in tema di rilancio della laïcité, attraverso la costituzione di una commissione ad hoc e la particolare solennità che presidente e governo hanno voluto dare nel 2003 alla festa annuale del Grande Oriente di Francia, riconoscendo nella massoneria il luogo dove pulsa il cuore della laïcité. Se lanalisi di Danièle Hervieu-Léger è giusta, queste iniziative mon potranno che avere un esito limitato, dal momento che le cause della crisi sono strutturali e non semplicemente congiunturali.
Se fino a questo punto la diagnosi della sociologa francese mi sembra convincente, lesame degli ultimi capitoli dellopera mi lascia personalmente perplesso su due punti non secondari. Il primo riguarda le già citate notazioni di taglio scettico in materia di critiche della secolarizzazione fondate sulla teoria delleconomia religiosa. Il volume è, come si direbbe in Francia, strettamente franco-français, e non cede neppure per un istante alla tentazione di qualche notazione comparativa. La scelta è assolutamente rispettabile, ma lascia aperta la questione se questa fase ultima della secolarizzazione, che lautrice situa allinterno di quella che preferisce chiamare non postmodernità ma ultramodernità[41] una scelta terminologica che deriva dal sociologo del protestantesimo Jean-Paul Willaime, ma che evidentemente non è neutrale dal punto di vista ideologico , sia un fenomeno unicamente francese (forse una eccezione francese allinterno della eccezione europea?) o si verifichi anche in altre nazioni. Se non si verifica in altre nazioni, perché dovrebbe essere una ragione per rivedere le critiche rivolte alle teorie della secolarizzazione in genere? Mi permetto di notare, senza potere qui approfondire un tema illustrato altrove[42], che la teoria delleconomia religiosa non è messa in crisi dal caso francese. Al contrario, la teoria prevede precisamente che, dove lo Stato interferisce pesantemente sul mercato religioso, lofferta non sia messa in condizione di creare la sua domanda, e lappartenenza religiosa declini.
Questo tema ci introduce alla seconda perplessità relativa alle conclusioni di Danièle Hervieu-Léger. La sociologa afferma di ( ) guardarsi bene dallavventurarsi sul terreno teologico e delle prospettive, cui la sociologia è doppiamente estranea[43]. Così dovrebbe essere: ma in unopera di questo respiro è inevitabile che emergano anche opinioni personali dellautrice. Così, non è difficile leggere fra le righe dei capitoli sulla famiglia e sullordine naturale per rendersi conto che la sociologa francese considera assurde e anacronistiche le prescrizioni cattoliche (spesso definite romane, per sottolineare il sordo dissenso di molti vescovi francesi) in tema di morale sessuale, dal controllo delle nascite alla possibilità per le coppie omosessuali di sposarsi e adottare figli (una trasformazione in via di compimento in Francia, di cui peraltro nota con pertinenza le caratteristiche dirompenti e in un certo senso finali rispetto a un processo di rovesciamento della cultura tradizionale tanto cattolica quanto improntata alla laïcité). Inoltre, nonostante si affermi di volersi limitare alla diagnosi, emerge qua e là anche qualche elemento di terapia. Le simpatie dellautrice vanno a quei sacerdoti e vescovi francesi che tacitamente senza proclamare in modo aperto un dissenso teologico resistono alle norme romane facendo accedere alla comunione i divorziati, adottando posizioni autonome in materia di omosessualità, e così via. La fine di un mondo scrive non è necessariamente la fine del mondo[44]: la Chiesa di Francia secondo Danièle Hervieu-Léger non ha speranze di riconquistare una posizione culturale e sociale di centralità, ma può sopravvivere attraverso una profonda riforma in cui non solo si proponga come cattolicesimo fragile[45] secondo le proposte di Mons. Simon ma sia capace di compiere una ( ) rivoluzione ecclesiologica che dia un senso a questa fragilità[46]. Senza assolutamente forzare il suo discorso, sembra che la sociologa francese pensi qui a una Chiesa di Francia capace di liberarsi delle ( ) costrizioni legate al quadro romano allinterno del quale essa rimane tenuta a esprimersi[47], ponendosi in sintonia con lopinione comune in tempi di ultramodernità particolarmente sui temi della morale sessuale, come hanno fatto quelle comunità protestanti che hanno accettato di benedire i matrimoni omosessuali, di ( ) ordinare pastori omosessuali[48] e così via.
Qui si pongono naturalmente problemi teologici e filosofici complessi cui, appunto, ( ) la sociologia è doppiamente estranea. Vi è tuttavia un terreno su cui la sociologia può invece certamente avventurarsi, ed è quello delle previsioni e, prima ancora, delle constatazioni relative al successo di proposte teologiche esigenti rispetto ad altre che si limitino a rispecchiare le tendenze prevalenti nellopinione pubblica postmoderna (o ultramoderna). Se vi è un dato che la teoria delleconomia religiosa ha dimostrato con dovizia di dati empirici è che, nelle società contemporanee, vi è una domanda davvero scarsa per forme religiose che si limitino ad applaudire il relativismo morale dominante anziché contestarlo. Ovunque nel mondo le comunità religiose che propongono un accostamento più rigoroso guadagnano membri, mentre quelle lassiste ne perdono[49]. Se è vero che la Chiesa nazionale svedese benedice i matrimoni degli omosessuali, è anche vero che si è ridotta a contare meno del 3% degli svedesi fra i suoi fedeli praticanti[50], in un paese dove viceversa crescono a ritmo impressionante denominazioni pentecostali che sulla questione dellomosessualità hanno semmai posizioni più rigide rispetto alla Chiesa cattolica. I teorici delleconomia religiosa hanno mostrato che la stessa dinamica è allopera anche allinterno della Chiesa cattolica, dove i gruppi che propongono un accostamento più rigoroso alla morale e alla teologia prosperano, mentre i gruppi lassisti e liberal perdono membri[51]. In effetti, quale interesse presenta per un cittadino della società ultramoderna una religione che si limita a ripetergli quanto già sente quotidianamente fuori delle chiese?
Si potrebbe, evidentemente, obiettare che queste conclusioni non sono confermate dallesperienza di terreno in Francia. Tuttavia, la Francia non è, rispetto alla religione, in una situazione di libero mercato. Non solo, letteralmente, centinaia di forme religiose, alcune delle quali hanno grande successo in altri paesi europei e fuori dellEuropa dal movimento buddhista Soka Gakkai ai Testimoni di Geova, fino alle stesse comunità più piccole del pentecostalismo protestante sono incluse in liste parlamentari di sette e ostacolate in molteplici forme; talora, le stesse forme del cattolicesimo che attirano più seguaci e mostrano, nellambito del mercato religioso intra-cattolico, le percentuali di crescita più significative, come le cosiddette nuove comunità carismatiche, sono accusate di derive settarie insieme dallo Stato e da una gerarchia ecclesiastica che in gran parte ha deciso, non da oggi, di privilegiare un tipo di cattolicesimo disposto a giocare fino in fondo il gioco della laïcité. Il fatto che questultima forma di cattolicesimo non prosperi in Francia conferma, anziché smentire, le teorie delleconomia religiosa, secondo cui le forme religiose che si adattano alla mentalità moderna e chiedono poco (ma nello stesso tempo offrono poco) perdono membri, anziché guadagnarne. Forme ancora più lassiste di religione fragile possono essere applaudite dai media o da qualche intellettuale, ma condannano se stesse allestinzione.
Al contrario, applicando gli stessi principi metodologici, si può immaginare una fuoriuscita dalla eccezione francese solo qualora si verifichino due condizioni: un sostanziale allentamento del controllo dello Stato sul mercato religioso francese e la sua conseguente deregulation; e la presenza una volta rimossi gli ostacoli legali e amministrativi di una vigorosa offerta che incontri una domanda che non è certamente venuta meno (come dimostra, nel declino delle appartenenze, la persistenza delle credenze). Questa offerta potrà venire dallesterno ovvero dallinterno della Chiesa cattolica: nel secondo caso, si può dubitare che una proposta che si limiti a fare eco ai valori della laïcité o alla mentalità prevalente nellultramodernità abbia le carte in regola per fare fronte alla concorrenza che verrà, presumibilmente, dal mondo protestante evangelical o pentecostale, dai testimoni di Geova, dai mormoni, da forme di buddismo globalizzato o dalle tentazioni di conversione allislam (già più presenti in Francia che altrove). In attesa che il contesto internazionale spinga la Francia a una difficile ma non impossibile deregulation del suo mercato religioso nei cui confronti le recenti campagne per rilanciare la laïcité appaiono piuttosto come un segno della debolezza di questultima possiamo, pur dubbiosi sui cenni di terapia, accogliere lopera di Danièle Hervieu-Léger (come, per altri versi, quella di Grace Davie) come un utilissimo momento di diagnosi.
[1] Cfr. Grace Davie, Religion in Britain since1945. Believing without Belonging, Basil Blackwell, Oxford 1994.
[2] Cfr. Danièle Hervieu-Léger, La Religion pour mémoire, Les Éditions du Cerf, Parigi 1993.
[3] G. Davie, Europe: The Exceptional Case. Parameters of Faith in the Modern World, Darton, Longman & Todd, Londra 2002.
[4] Cfr. Peter Berger (a cura di), The Desecularization of the World. Resurgent Religion and World Politics, Eerdmans, Grand Rapids (Michigan) 1999.
[5] Cfr. G. Davie, Europe: The Exceptional Case. Parameters of Faith in the Modern World, cit., p. 7.
[6] Ibid., p. 6.
[7] Ibid., p. 28.
[8] Ibid., p. 28.
[9] Ibid., p. 19.
[10] Cfr. G. Davie, Religion in Modern Europe. A Memory Mutates, Oxford University Press, Oxford 2000.
[11] G. Davie, Europe: The Exceptional Case. Parameters of Faith in the Modern World, cit., p. 44.
[12] Ibid., p. 19.
[13] Ibid., p. 19.
[14] Cfr. Rodney Stark Massimo Introvigne, Dio è tornato. La rivincita della religione in Occidente, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2003.
[15] G. Davie, Europe: The Exceptional Case. Parameters of Faith in the Modern World, cit., p. 6.
[16] Se ne troverà unanalisi in R. Stark M. Introvigne, op. cit.
[17] D. Hervieu-Léger, Catholicisme, la fin dun monde, Bayard, Parigi 2003.
[18] Ead., Le Pèlerin et le converti. La religion en mouvement, Flammarion, Parigi 1999.
[19] Ead., La Religion en miette ou la question des sectes, Calmann-Lévy, Parigi 2001. Cfr. le mie recensioni Perché in Francia? Un commento a La Religion en miettes ou la question des sectes di Danèle Hervieu-Léger, in Cristianità, anno XXIX, n. 306, luglio-agosto 2001, pp. 3-14; e Rational choice, sette e ritorno del sacro. Un commento a La religione in briciole o la questione delle sette di Danièle Hervieu-Léger, in La Critica Sociologica, m. 140, inverno 2001-2002 (24 marzo 2002), pp. 83-99.
[20] D. Hervieu-Léger, Catholicisme, la fin dun monde, cit., p. 91.
[21] Ibid., p. 91.
[22] Ibid., p. 326.
[23] Ibid., p. 20.
[24] Ibid., p. 20.
[25] Ibid., p. 21.
[26] Ibid., pp. 325-26.
[27] Ibid., p. 326.
[28] Ibid., p. 97.
[29] Ibid., p. 97.
[30] Mons. Hyppolite Simon, Vers une France païenne?, Cana, Parigi 1999.
[31] Ibid., p.68.
[32] Ibid., p.68.
[33] Ibid., p. 68.
[34] Cfr. René Remond, Le christianisme en accusation, Desclée de Brouwer, Parigi 2000.
[35] D. Hervieu-Léger, Catholicisme, la fin dun monde, cit., p. 60.
[36] Ibid., p. 62.
[37] Ibid., p. 62.
[38] Cfr. ibid., p. 76.
[39] Cit. ibid., p. 17. La laïcité francese non coincide, a rigore, con la laicità italiana (si avvicina piuttosto al laicismo); seguendo luso comune nella sociologia delle religioni di lingua inglese, preferisco lasciare la parola in francese senza tradurla.
[40] Ibid., p. 315.
[41] Ibid., p. 86.
[42] Cfr. R. Stark M. Introvigne, op. cit.
[43] D. Hervieu-Léger, Catholicisme, la fin dun monde, cit., p. 316.
[44] Ibid., p. 325.
[45] Ibid., p. 332.
[46] Ibid., p. 332.
[47] Ibid., p. 332.
[48] Ibid., p. 252.
[49] Cfr. per es. Rodney Stark Roger Finke, Acts of Faith. Explaining the Human Side of Religion, University of California Press, Berkeley Los Angeles Londra 2000.
[50] G. Davie, Europe: The Exceptional Case. Parameters of Faith in the Modern World, cit., pp. 5-6.
[51] Cfr. R. Stark R. Finke, Catholic Religious Vocation: Decline and Revival, in Review of Religious Research, vol. 42, n. 2, dicembre 2000, pp. 125-145. Cfr. la mia recensione La vocazione religiosa cattolica: declino e risveglio: un'analisi sulla base dei criteri della rational choice, in Cristianità, anno XXIX - n. 303, gennaio-febbraio 2001, pp. 3-5.
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