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La tragedia del Batavia. Un "re degli anabattisti" nell’Australia del XVII secolo

Massimo Introvigne

Nel 1534 il leader anabattista Jan Bockelson, detto Giovanni di Leida (1509-1536), si impadronisce della città tedesca di Münster, dove instaura per sedici mesi - prima di essere sconfitto e giustiziato - un regno sanguinario e stravagante, caratterizzato dalla comunione dei beni e delle donne e dalla implacabile repressione di chiunque osi mettere in dubbio l’autorità del re-profeta. La vicenda di Bockelson - conosciuta anche grazie all’opera narrativa dell’aristocratico tedesco anti-nazista Friedrich Reck-Malleczewen (1884-1945) Il re degli anabattisti - rimane nella storia come un esempio, insieme classico e tragico, di millenarismo rivoluzionario e di violenza perpetrata nella convinzione che la fine del mondo sia imminente, e che spetti a piccoli gruppi di militanti devoti operare per affrettarne l’avvento escatologico. Gli anabattisti di Münster portano alle estreme conseguenze l’opposizione alla Riforma storica della cosiddetta "Riforma radicale" (che si separa da Lutero, Calvino e Zwingli sulla questione della necessità di "ribattezzare" chi lascia la Chiesa cattolica: da cui il nome "anabattisti", cioè "ribattezzatori"); ma ne rappresentano una patologia più che un’espressione tipica. Nella sua maggioranza, la Riforma radicale non è violenta, ma al contrario pacifista, e in questa direzione evolvono, dopo Münster, gli stessi anabattisti il cui principale filone è quello, del tutto pacifico, dei mennoniti.

Bande di anabattisti violenti ispirati dalla sanguinaria saga di Münster rimangono tuttavia attive in Europa per oltre un secolo, e a esse si ricollega un secondo "re degli anabattisti" il cui regno, non meno sanguinoso né effimero di quello di Bockelson, si estende, un secolo dopo Münster, su un pugno di isolette della remota Australia. Su questo regno dimenticato getta luce un’opera del giornalista e storico di Cambridge Mike Dash (già autore di un best seller internazionale, Tulipomania, sul significato storico e culturale della coltivazione dei tulipani), Batavia’s Graveyard ("Il cimitero del Batavia", Crown, New York 2002). Il saggio non smentisce la reputazione dell’autore come storico insieme attento e capace di intrattenere i suoi lettori con una narrativa avvincente e senza pause; e l’argomento, tanto drammatico quanto dimenticato, contribuisce al fascino del testo.

Dash presenta la figura di Jeronimus Cornelisz (1598-1629), un farmacista nato in Frisia ma giunto alla prosperità nella città olandese di Haarlem. Di estrazione anabattista, l’eterodossia di Cornelisz non si riduce a questa corrente e agli echi ancora persistenti dell’avventura di Bockelson, ma si coniuga con l’antinomismo dei Fratelli del Libero Spirito e con l’interesse sollevato negli anni 1614-1616 dai manifesti dei Rosacroce. Cornelisz si lega a Johannes van der Beeck, detto il Torrenzio (1589-1644), pittore di notevole fama alla sua epoca le cui opere (tranne una, ritrovata recentemente) sono tutte state distrutte proprio a causa delle sue disavventure teologiche. Quando le autorità civili e religiose della calvinista Olanda cominciano a preoccuparsi per la possibile presenza sovversiva dei misteriosi Rosacroce, Torrenzio - le cui idee esoteriche hanno un indubbio sapore gnostico - è arrestato, incarcerato e torturato nel 1627, anche se sarà successivamente liberato per intercessione del governo britannico, che gli offrirà asilo in Inghilterra. I suoi discepoli giudicano prudente lasciare Haarlem (che, tra l’altro, diventerà un centro importante di attività neo-rosacrociane nel XX secolo), e Cornelisz lo fa tanto più volentieri in quanto il suo commercio e la sua reputazione sono andati in rovina a causa della morte di un figlio appena nato colpito da sifilide (da cui le accuse al farmacista e alla moglie: mentre sembra che il bimbo avesse contratto la malattia da una balia libertina). Come molti altri giovani olandesi in difficoltà, Cornelisz va ad Amsterdam, si mette al servizio della Compagnia delle Indie Olandesi e nel 1628 si imbarca come vice-commissario sul Batavia, il veliero appena varato che costituisce l’orgoglio dell’Olanda (una sua fedele riproduzione è oggi una delle maggiori attrazioni turistiche del paese).

Il primo viaggio del Batavia è però anche l’ultimo. La navigazione verso l’Indonesia è turbata dai dissidi fra il commissario, l’ambizioso Francisco Pelsaert, e il comandate, il collerico Ariaen Jacobsz. Cornelisz approfitta del dissidio per progettare, con l’aiuto del comandante, un ammutinamento contro il commissario Pelsaert che consenta ai rivoltosi di impadronirsi della nave e all’ex-farmacista di diventare il capo di una banda di pirati disposti a seguirlo in una versione navale dell’utopia di Bockelson. Gli olandesi stanno nel frattempo sperimentando una nuova e più veloce rotta verso le Indie che passa al largo dell’Australia, pericolosa perché della zona non esistono carte. Prima che i progetti di ammutinamento di Cornelisz siano messi in esecuzione, il 3 giugno 1629 il Batavia urta contro la barriera corallina delle Houtman’s Abrolhos, un gruppo di isolette vicine alla costa occidentale dell’Australia di cui i cartografi a malapena conoscono l’esistenza. Mentre la nave affonda, 300 dei 320 passeggeri si salvano su un’isola disabitata (oggi chiamata Batavia’s Graveyard). Mentre Pelsaert e Jacobsz, messi da parte i loro dissidi, intraprendono con pochi uomini su una scialuppa di salvataggio il pericoloso viaggio verso Batavia (oggi Jakarta) per cercare soccorsi, Cornelisz, che come vice-commissario è rimasto la più alta autorità tra i naufraghi, decide di mettere in atto da solo i precedenti piani di ribellione. Dopo avere inviato sulle isole più lontane dell’arcipelago i potenziali oppositori, impone - con la violenza e la seduzione - la sua autorità assoluta, massacrando senza pietà sia gli oppositori sia i deboli, i malati e quanti appaiono come inutili bocche da sfamare. Nasce così una versione australe del regno di Bockelson a Münster, caratterizzata - come il precedente esperimento tedesco - dalla violenza spesso gratuita e dalla comunanza delle donne (in questo caso poche) che fanno parte del gruppo dei naufraghi. Alla fine dell’avventura, oltre cento naufraghi saranno stati trucidati per ordine dell’ex farmacista. Un soldato, Wiebbe Hayes, organizza peraltro la resistenza sull’isola più occidentale dell’arcipelago, in attesa dei soccorsi. Cornelisz, ormai in preda a un delirio di onnipotenza, si reca a parlamentare con Hayes sicuro di trasformarlo in un suo seguace, ma è invece imprigionato. Mentre i seguaci di Cornelisz e di Hayes combattono una guerra sanguinosa e paradossale, Pelsaert torna da Batavia il 17 settembre con i soccorsi, scopre quanto è accaduto e arresta i principali ammutinati. Il regno anabattista di Cornelisz è durato solo tre mesi, e il suo fato è simile a quello di Bockelson: è condannato, con i principali seguaci, al taglio delle mani e all’impiccagione, condanna eseguita il 1° ottobre su un’isoletta delle Abolhos dove è stato eretto un patibolo di fortuna. Anche il capitano della nave, Jacobsz, pure non coinvolto nei massacri delle Abolhos, sarà imprigionato a Batavia come complice di Cornelisz e morirà probabilmente in carcere (alcuni documenti che lo riguardano sono andati perduti).

La tragedia del Batavia solleva enorme scalpore nel XVII secolo, ma è successivamente quasi dimenticata, finché la ricerca dei resti della nave e degli insediamenti dei naufraghi nelle Abolhos, negli anni 1960, la riporta all’attenzione degli storici in Olanda e soprattutto in Australia: dopo tutto, l’effimero regno di Cornelisz è stato il primo insediamento di europei nel vasto paese oceanico. Come l’episodio di Münster, di cui costituisce una riedizione esotica e minore, la tragedia delle Abolhos va interpretata alla luce delle categorie del millenarismo rivoluzionario e violento. L’eccellente ricostruzione di Dash si ferma - ed è questo il suo principale limite - un passo prima di questa possibile ricostruzione interpretativa, limitandosi a notare la possibile "psicopatologia" di Cornelisz: una spiegazione comune, ma veramente troppo facile, quando ci si trova di fronte agli eccessi del millenarismo militante.

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