Egregio Mr. Forni:
Negli ultimi giorni, Lei è emerso come uno dei maggiori critici internazionali dellormai fin troppo nota affermazione del nostro Primo Ministro secondo cui i valori dellOccidente sono superiori a quelli dellIslam. Queste critiche si sono tradotte nel passo senza precedenti di cancellare il Suo incontro con il presidente del Senato italiano, Marcello Pera (un passo criticato in Italia anche da esponenti dellopposizione, dal momento - tra laltro - che evidentemente il senatore Pera rappresenta il Parlamento, non il governo, e che si tratta personalmente di un noto e rispettato filosofo liberale, allievo e amico del defunto Sir Karl Popper).
Se Lei avesse semplicemente criticato laffermazione dellonorevole Berlusconi (peraltro pronunciata nel corso di una conversazione informale, non parte di una dichiarazione ufficiale) come generica e nel contesto attuale potenzialmente pericolosa, per esempio per non avere definito che cosa intenda per "Occidente" (un concetto che, di per sé, non è evidente), molti italiani - fra cui il sottoscritto - non avrebbero avuto nulla da obiettare. Se avesse aggiunto che i nostri Stati sono laici, e che non è compito dei Primi Ministri pronunciarsi su quale teologia sia migliore o superiore, avrei compreso il Suo punto di vista. Tuttavia, Lei ha detto di più e si è spinto fino a presentare lItalia come un paese dove la tolleranza verso le minoranze religiose è in pericolo, citando invece la Francia come un esempio di libertà religiosa. Da una parte, lonorevole Berlusconi si è spiegato nel nostro Parlamento precisando che le sue parole non avevano nulla a che fare con giudizi di valore di tipo teologico; la sua affermazione - ha detto - era formulata in termini assolutamente laici, e argomentava che sul piano dei diritti umani in genere e dei diritti delle donne in particolare le democrazie occidentali hanno dato risultati migliori della maggior parte dei paesi islamici. Dallaltra, come studioso di religioni che ha seguito i più recenti sviluppi in Francia, io trovo la Sua affermazione semplicemente paradossale.
Il 30 maggio 2001 lAssemblea che Lei presiede ha votato una legge che intende risolvere il presunto problema delle "sette" in Francia, permettendone lo scioglimento nel caso i loro dirigenti siano stati riconosciuti colpevoli di reati (alcuni dei quali certamente minori), e introducendo - mediante una modifica dellarticolo 313 del Codice Penale francese - lo stesso reato vagamente definito come "manipolazione mentale" o "plagio" di cui nel 1981 ci liberò in Italia la Corte Costituzionale, giudicandolo tra le vestigia più pericolose del regime fascista ancora presenti nella nostra legislazione. La Sua legge è stata denunciata come pericolosa per la libertà religiosa non solo dalle "sette" (o dagli studiosi internazionali di nuove minoranze religiose, che Lei liquiderebbe probabilmente come "apologisti delle sette") ma da una dichiarazione comune, a Lei ben nota, sottoscritta dal presidente della Conferenza Episcopale cattolica francese e dal presidente della Federazione Protestante di Francia; è stata anche criticata da un congruo numero di membri del Consiglio dEuropa, dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e da istituzioni cattoliche ufficiali.
Il vostro Parlamento ha prodotto nel 1996 e nel 1999 due rapporti sulle "sette" che hanno ricevuto severe critiche, e membri dellAssemblea che Lei presiede fanno parte della "Missione Interministeriale di Lotta contro le Sette", il cui nome è già tutto un programma. Sulla base di questi rapporti, e delle attività della Missione, cittadini francesi hanno perso il loro lavoro in quanto membri di "sette" elencate nella lista del rapporto 1996; a gruppi inclusi in questa lista è stato impedito di affittare locali pubblici e più in generale di svolgere le loro normali attività. La comunità internazionale non ha passato sotto silenzio questi sviluppi: leggendo il rapporto 2001 dellAiuto alla Chiesa che Soffre (unimportante istituzione cattolica i cui uffici romani hanno sede nel Palazzo delle Congregazioni vaticano), autorevoli giornalisti ne hanno ricavato per la Francia un poco invidiabile sesto posto (e primo fra i paesi a regime democratico) tra i paesi più criticati per le loro violazioni della libertà religiosa. Le stesse critiche sono state espresse reiteratamente nei rapporti annuali sulla libertà religiosa dellamministrazione americana, e in documenti di organizzazioni internazionali indipendenti che si occupano di diritti umani.
La posizione francese sulle "sette" è stata applaudita solo dalla Cina. In Italia, per esempio, i Testimoni di Geova (che occupano un posto donore nella vostra lista di "sette pericolose") sono riconosciuti dallo Stato come congregazione religiosa, e la Cassazione ha deciso l8 ottobre 1997 che la Chiesa di Scientology ha anchessa natura religiosa (anche se - lo aggiungo perché i vostri cosiddetti esperti hanno spesso citato in modo errato questa seconda sentenza della Cassazione - ha anche affermato il 1° marzo 2000 che i centri per il recupero di tossicodipendenti Narconon, gestiti dalla Chiesa di Scientology, non rientrano nella definizione legislativa italiana di attività religiose e, come tali, non sono coperti dellesenzione fiscale che rimane garantita a Scientology). La Soka Gakkai (un altro gruppo sulla vostra "lista nera" in Francia) è in trattative con il governo italiano per unIntesa; il 20 marzo 2000 lallora Primo Ministro onorevole Massimo DAlema (un membro del Suo stesso partito su scala europea) ha firmato lIntesa con i Testimoni di Geova, ora in attesa di ratifica da parte del Parlamento. Gli esempi potrebbero continuare.
Lei mi dirà certamente che le "sette" non sono "autentiche" religioni, mentre lIslam è una religione. Purtroppo, il Suo governo non ci ha mai offerto una definizione di "religione", e mi chiedo se questa definizione rientri nei compiti di uno Stato laico, soprattutto di uno Stato così laico come la Francia vuole essere. Da questa ambiguità terminologica è nata unevidente confusione. Per esempio, i vostri rapporti parlamentari del 1996 e 1999 affermano di volere identificare le "sette" sulla base di tendenze pericolose e violente, dunque tramite criteri puramente empirici e laici, che non implicherebbero alcun giudizio di valore o teologico. Tuttavia la vostra lista del 1996 di 172 "sette pericolose" attive in Francia non comprende neppure uno dei numerosi gruppi dellIslam radicale presenti nel vostro paese, presumibilmente non meno pericolosi e violenti delle Chiese pentecostali, gruppi buddhisti e altre realtà incluse nella lista.
Studiosi francesi mi hanno spiegato ripetutamente che la lista è stata preparata dai vostri servizi di sicurezza, che hanno rapporti singolarmente buoni con il mondo islamico, comprese le sue frange più radicalmente anti-occidentali e anti-americane (e rapporti poco buoni con molti gruppi religiosi che operano in territorio francese in quanto li considerano "americani"). Gli stessi studiosi mi hanno fatto notare che lelettorato musulmano è ormai decisivo nelle elezioni francesi, e forse hanno ragione.
Comunque sia, condivido le Sue preoccupazioni in materia di tolleranza religiosa. La mia opinione (che non è solo mia, ma è confermata dai rapporti annuali delle istituzioni internazionali che si occupano di libertà religiosa) è che lItalia se la cavi piuttosto bene in questo campo; ma qualunque consiglio amichevole che ci aiuti a fare meglio è il benvenuto. Nello stesso tempo, mi permetto di invitarLa a un esame di coscienza sulla situazione della libertà religiosa in Francia, e a guardare - beninteso, laicamente - prima la trave nel vostro occhio che la pagliuzza in quello del vicino. E possibile che qualche dichiarazione estemporanea si riveli ambigua e inopportuna. Non potrà tuttavia non convenire che privare i vostri cittadini del posto di lavoro, dei diritti civili o della libertà di espressione perché fanno parte di un gruppo che a vostro avviso è una "setta" è assai più inopportuno, e più grave.
Con i migliori saluti.
Dr. Massimo Introvigne*
Torino, 29 settembre 2001
*Le opinioni espresse in questa lettera sono opinioni personali dellautore, e non rappresentano alcuna organizzazione o associazione.
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